Carissime/i,
a Roma ci sono i responsabili di movimenti popolari di diverse nazioni e
religioni. Papa Francesco ha rivolto loro un discorso (ignorato dalla
stampa), che nessun partito o leader politico (anche cristiano) avrebbe
il coraggio di condividere pubblicamente. Pace e bene, Gigi
Diritti sacri
Il discorso di papa Francesco ai movimenti
I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!
Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno
neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani
assistenziali o soluzioni che non arrivano mai o che, se arrivano, lo
fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di
addomesticare (…). Voi sentite che i poveri non aspettano più e
vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano,
esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che
esiste fra quanti soffrono (…), e che la nostra civiltà sembra aver
dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare.
Solidarietà
è (…) molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e
agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro
le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di
lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose,
la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle
realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a
trasformare. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un
modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.
Questo
nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee,
lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e
molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani
nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che
si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse
perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse
perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra
presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i
progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano
nel regno dell’idea (…).
Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. (…). Che bello invece quando vediamo in movimento i popoli
e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente
il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che
questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio
desiderio.
Questo
nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che
qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito
che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con
tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e
lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non
si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra,
casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri.
Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi
soffermo un po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parole
d’ordine per questo incontro.
Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo
che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi
con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in
comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini (…).
L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione
dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che
strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non
è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una
relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo
peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di
estinzione.
L’altra
dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione
finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una
merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame.
Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un
vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto
inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per
risolvere alcuni di questi problemi e lasciatemi dire che in certi Paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, «la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale» (CDSC, 300).(…).
Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.
Secondo, Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni famiglia. (…). Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere, ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense città che (…) offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo. Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei sbagliarmi in qualche caso, ma, in generale, dietro un eufemismo c’è un delitto.
Viviamo
in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari
immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie.
(…). Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che
demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. (…).
(…). Quanto sono belle le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi
e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto
sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono
piene di spazi che uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento
dell’altro! Perciò né sradicamento né emarginazione: bisogna seguire la linea dell’integrazione urbana! Questa parola deve sostituire completamente la parola sradicamento,
ora, ma anche quei progetti che intendono riverniciare i quartieri
poveri, abbellire le periferie e “truccare” le ferite sociali invece di
curarle promuovendo un’integrazione autentica e rispettosa. È una sorta
di architettura di facciata, no? (…). Continuiamo a lavorare affinché
tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano
un’infrastruttura adeguata: fognature, luce, gas, asfalto, e
continuo: scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le
cose che creano vincoli e uniscono, accesso alla salute - l’ho già
detto - all’educazione e alla sicurezza della proprietà.
Terzo, Lavoro. Non
esiste peggiore povertà materiale - mi preme sottolinearlo - di quella
che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro.
La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti
lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione
sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra
dell’uomo (…), sono effetti di una cultura dello scarto che considera
l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi
buttare.
Oggi
al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova
dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale;
quelli che non si possono integrare, gli esclusi, sono scarti,
“eccedenze”.
Questa è la cultura dello scarto, e su questo punto vorrei aggiungere
qualcosa che non ho qui scritto, ma che mi è venuta in mente ora. Questo
succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e
non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o
economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse
il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva
il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.
Per quanto riguarda lo scarto dobbiamo anche essere un po’ attenti a quanto accade nella nostra società. (…). Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti Paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere (…).
Si
scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né
anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si
abbandona lentamente, e ora, poiché in questa crisi occorre recuperare
un certo equilibrio, stiamo assistendo a un terzo scarto molto doloroso:
lo scarto dei giovani.
(…). Nei Paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui
in Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del 40%; sapete cosa
significa 40% di giovani, un’intera generazione, annullare un’intera
generazione per mantenere l’equilibrio. (…). Scarto di bambini, scarto
di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di
giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un
sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.
Nonostante
questa cultura dello scarto, questa cultura delle eccedenze, molti di
voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato
il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più
utilizzato, ma voi con la vostra abilità artigianale, che vi ha dato
Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro
lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti e
ci state riuscendo... E, lasciatemelo dire, questo, oltre che lavoro, è
poesia! Grazie.
In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi.
Un
sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di
saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo
frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la
perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i
loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a
soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste
in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da
perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle:
il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere;
e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un
dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce
ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con
rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica
sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti
in essa. (…).
So
che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri, idee,
culture, Paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura
dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e
dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce
questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità.
Perciò a me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con
molte facce diverse. (…). Oggi state anche cercando la sintesi tra il
locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine,
concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto
di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più
ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!
Perciò
mi sembra importante la proposta, di cui alcuni di voi mi hanno
parlato, che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che
crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più
coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni.
Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture
rigide, perciò
ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di
dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica,
ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme. Siamo in questa
sala, che è l’aula del Sinodo vecchio (…), e sinodo vuol dire proprio
“camminare insieme”: che questo sia un simbolo del processo che avete
iniziato e che state portando avanti!
I
movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le
nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori. È
impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione
come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo
trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La
prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di
superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove
forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le
strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel
torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi
nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza
risentimento, con amore.
Vi
accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore:
nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun
lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il
lavoro.
Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi. È come una benedizione di umanità. (…).
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