L’economia deve crescere. Perché? Per pagare gli interessi.
di Maurizio Blondet - 12/11/2014Fonte: Effedieffe
Lo confesso subito, anche questa idea la riprendo da Paul Jorion, l’economista sociologo francese che cito spesso. Jorion ha molti amici che militano per la decrescita economica. Gli ultimi dati ONU li hanno messi in frenesia. «Ogni anno consumiamo un pianeta Terra virgola 6, è insostenibile, bisogna fermare lo sviluppo. Assolutamente e d’urgenza».
A tali amici Jorion risponde: «Avete mille volte ragione. Ma se decresciamo, chi pagherà gli interessi?». Gli amici pensano che cerchi di cambiare discorso: loro parlano di ecologia, e lui parla di finanza. È che non sono al corrente. Come gli deve spiegare Jorion, non è che i capitalisti ci incitano a crescere per il piacere di renderci tutti più ricchi, no. Le economie devono crescere perché gli interessi siano pagati al capitale. Si lavora, essenzialmente, per pagare gli interessi.
Ciò perché il denaro per pagare gli interessi non esiste nel sistema economico. La creazione di moneta, tolta allo Stato, è una prerogativa delle banche, e le banche la creano indebitando, ossia «facendo credito». Ciò che prestano non l’hanno in cassa, i depositi reali sono solo il 4% di ciò che prestano. Creano denaro dal nulla, e poi è l’imprenditore che hanno indebitato a riempire quel nulla, affannandosi a sgobbare e pagando gli interessi con la ricchezza reale che crea e restituendo a rate il capitale. Si chiama «credito all’economia». Nel caso del credito al consumo, non si pagano gli interessi a partire da una ricchezza creata: si ipotecano i salari futuri del lavoratore-consumatore, quelli che dovranno ancora essere versati, in modo che possa comprarsi a rate l’iPhone da 700 euro che non può permettersi, la tv piatta Sony da 72 pollici, o la BMW, anche se, quanto a soldi, potrebbe comprarsi al massimo la Atos (tutta roba
straniera del resto, il cui import aumenta i nostri debiti all’estero, su cui paghiamo gli interessi).
Per questo gli italiani sono incitati a consumare nonostante la recessione e la tassazione si porti via tutto; per questo Renzi ha dato ad alcuni quei miserrimi 80 euro, senz’altra prospettiva che la speranza che li usino per consumare. In Italia c’è il gelo dei consumi, ci dicono. Bisogna tornare alla crescita, e questa consiste nel rilanciare i consumi. Altrimenti, chi paga gli interessi?
Da una parte l’Europa impone allo Stato l’austerità e frugalità, ma dall’altra, gli italiani sono incitati a consumare di più, e dilapidare i risparmi quelli che ne hanno ancora. E il punto è che più lo Stato taglia le spese per rientrare dal deficit, e più il suo debito cresce in rapporto al Pil, visto che anche se il debito resta quello di prima o addirittura un pochino cala, il Pil diminuisce a forza di austerità che ha provocato la recessione-depressione.
Stranezze del capitalismo basato sugli interessi. Le apparenti contraddizioni, e la causa profonda delle nostre sofferenze come indebitati pubblici (e risparmiatori privati), appaiono di colpo più chiare quando cominciamo a vedere la realtà economica in termini di «debitori» e «creditori».
Un mondo di debitori e creditori
Per esempio, cominciamo a farci la domanda: a chi paghiamo gli interessi? Ai «mercati» ci dicono, che si degnano di comprare i nostri Buoni del Tesoro, ovviamente pretendendo un interesse maggiore di quello che chiedono ai tedeschi visto che il nostro Paese è così tanto indebitato che rischia di fallire. E noi paghiamo interessi maggiori. A chi? Essenzialmente, e per semplificare, a banche tedesche. O peggio, a speculatori internazionali a loro volta così indebitati (hanno investito nei «derivati», accumulando debiti nominali per una dozzina di volte il Pil del pianeta – e fanno le pulci al nostro debito pubblico, mille volte inferiore) che se qualcuno cessa di pagare gli interessi, i loro patrimoni vengono inceneriti all’istante.
Ma torniamo, per semplificare, alle banche tedesche. Quelle comprano i nostri Bot o quelli spagnoli e greci su cui pretendono alti interessi. E perché ci continuano a fare prestiti, sapendo benissimo che cicale che siamo noi meridionali, cosa che ci rimproverano continuamente, col ditino alzato?
La risposta è: perché le banche tedesche sono strapiene di depositi – depositi guadagnati dalle imprese tedesche esportatrici, dunque così floride da scoppiare di soldi. E dove mettono i soldi? Nelle loro banche. Le banche, quando hanno tantissimi depositi, hanno un problema: devono «impiegarli», «investirli», ossia lucrare degli interessi in qualunque modo. Anche dalla Grecia. Infatti sono le banche tedesche ad averla riempita di soldi indebitandola enormemente al disopra della sua capacità di crescita economica. Alla Spagna, hanno procurato – a forza di prestiti facili – la bolla immobiliare che è scoppiata in coincidenza con la crisi USA dei subprime del 2008, inabissando il grande Paese nella recessione senza ritorno, con disoccupazione al 28%.
Così, quando si guarda al mondo in termini di creditore e debitore, si capiscono molte cose.
Anzitutto, che non è colpa dei greci se hanno rovinato il Paese e sé stessi «vivendo al disopra dei propri mezzi». La colpa è – o almeno va condivisa – dalle banche tedesche che l’hanno indebitata fino al collo, irresponsabili. E perché? Perché ci guadagnavano interessi alti. Più alti di quelli che potevano lucrare facendo prestiti alle imprese nazionali, che non hanno nemmeno bisogni di indebitarsi essendo in attivo. Lì potevano ottenere l’1%; dai greci il 6, o in certi momenti (ossia quando la Grecia era proprio disperata e non trovava credito sui mercati) il 18%, altrimenti minacciavano l’inferno al povero piccolo paese del Partenone.
L’altra cosa che si capisce: le banche e i «mercati», prestando ai greci, hanno sbagliato investimento. Di solito un imprenditore che sbaglia ad investire, ne paga le conseguenze, perde del suo, chiude l’attività. Le banche invece no; fanno pagare le loro vittime degli investimenti che hanno sbagliato loro, altrimenti «fanno mancare il credito». La loro vera domanda è un’altra: «E chi ci paga gli interessi?».
Senza interessi non c’è nemmeno moneta. Siccome il 95% della moneta nel sistema attuale è «moneta-credito», ossia creata dal nulla dalle banche, essa non può essere creata che indebitando tutti e ciascuno (1). Così c’è la «crescita». Sennò chi paga gli interessi? Infatti attualmente c’è la deflazione – ossia è diminuita la massa monetaria – perché la gente non si indebita abbastanza, e le banche hanno paura di indebitare le imprese e gli Stati ancora un po’... dato che l’hanno fatto troppo.
C’è infine un’ulteriore verità che vi invito ad osservare bene: che il Creditore ha un disperato bisogno di indebitarci, noi, i privati, le imprese, gli Stati. Lui ci fa credere che ci tiene in pugno, che ci può far mancare il credito, ci impone di tagliare le spese umane e i salari per pagare gli interessi a lui, ridurre il nostro deficit, rientrare dal nostro debito pubblico… ma in realtà è lui che ha un disperato bisogno di indebitarci. Dico «disperato» a ragion veduta. Se smettiamo, il Creditore è finito. Lui lo sa ed è terrorizzato. È lui che ha bisogno di noi, più che noi debitori di lui.
Cosa significa questa presa di coscienza?
Che non dovete credere ai media, ai giornalisti e agli economisti (tutti sul libro-paga del creditore) che vi strillano: «se uscite dall’euro e ritornate alla lira (ossia se svalutate, se fate default), non solo l’inflazione salirà alle stelle (2), ma i mercati vi puniranno, le banche non vi faranno più credito, dovrete chiedere l’elemosina al Fondo Monetario»... tutte balle. L’Argentina svalutò, fece default, ed un minuto dopo già il loro Ministro Lavagna riceveva la telefonata di Goldman Sachs che offriva crediti: «Adesso siete diventati competitivi, grazie alla svalutazione..». Vista la potenza industriale che è (ancora) l’Italia, ci sarebbe la fila di creditori disperatamente vogliosi di indebitarci di nuovo.
Pensate solo ai Fondi pensione americani, enti privati finanziari che raccolgono denaro dai lavoratori e promettono – promettevano – di trafficare quei soldi al meglio, in Borsa e trading speculativi vari, in modo da dare una decente pensione alla fine. Per questo tali Fondi hanno sempre avuto un bisogno estremo di «investire» i soldi dovunque, in qualunque titolo pubblico e privato che desse interessi alti e costanti. Abbastanza alti da pagare le pensioni di quella parte di lavoratori e contribuenti al Fondo, che anno dopo anno vanno in pensione.
Per questa necessità di lucrare interessi costantemente alti, i Fondi hanno fatto esplodere la finanza «creativa», dando fondo alla cassetta dei trucchi: si sono buttati su derivati che consentono giganteschi effetto-leva e giganteschi rischi. E dall’altra parte, hanno avuto interesse ad indebitare Stati mal messi, dissestati e debitori a rischio insolvenza, perché proprio da questi si possono pretendere interessi più alti di quelli che è disposto a pagare un debitore solido e solvibile. Per questo è esplosa la crisi dei subprime: che è stata la corsa delle banche speculative a fare prestiti per l’auto e mutui per la casa a persone con poco reddito, e con storie precedenti di insolvenza, per poi rifilare questi crediti puzzolenti, sotto forma di «certificati che danno interesse», ai Fondi pensione e agli altri fondi di gestione dei risparmi.
La stessa cosa hanno fatto le banche tedesche – tipicamente Deutsche Bank – stra-indebitando la Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, e lucrando sullo «spread», il differenziale d’interesse. Il gioco della finanza globale è tutto qui. Hanno indebitato tutti. Mentre i salari si abbassavano in tutto l’Occidente, il sistema finanziario compensava ampliando i prestiti: manteneva il potere d’acquisto dei lavoratori impoveriti, ma dietro un interesse.
Li chiamano «credito al consumo». Il Medio Evo cristiano li chiamava «usura», e la Chiesa vietava di indebitare i deboli e i poveri, che si indebitavano per necessità alimentare, estraendo a loro un interesse.
Questa giostra per continuare a girare, ha bisogno della «crescita». Gli indebitati devono affannarsi a produrre ricchezza reale, in modo da pagare gli interessi. La scrematura che il Creditore collettivo estrae è enorme: è stato calcolato che sui prezzi dei beni e servizi che acquistiamo, il 30-50% è rappresentato da interessi che qualcuno (il fabbricante per comprare i semilavorati a credito, l’imprenditore per il fido, il Comune o lo Stato per i servizi pubblici) ha dovuto pagare (3).
Questo ci dice anche un’altra cosa di importanza cruciale: a forza di indebitare, la finanza pretende di ottenere dall’economia rendimenti costantemente superiori ai rendimenti dell’economia reale. Così facendo, finisce per distruggere l’economia reale, cannibalizzandola, e dunque di spezzare la crescita. Il processo è così spiegato da Nino Galloni (4):
Negli anni ’80 i Fondi pensione e gli investitori istituzionali avevano preso impegni con i loro sottoscrittori (in gran parte i lavoratori stessi) di un rendimento del 7% circa al netto dell’inflazione; un tasso in linea con i rendimenti delle principali obbligazioni pubbliche, tra cui quelle italiane. Quando, con la crisi dello Sme nel ‘92 (svalutazione della lira attaccata da Soros) i corsi dei titoli pubblici crollarono, i Fondi li sostituirono con le azioni; ma avevano necessità che il rendimento di queste consentisse di continuare a mantenere gli impegni presi dai Fondi coi loro sottoscrittori. Quindi, le attività produttive e industriali furono costrette a garantire almeno il 7% l’anno, anche a costo di disinvestire, chiudere centri di ricerca, licenziare il personale più qualificato». Analogamente, quando il debitore è uno Stato, gli si ordina di risparmiare sulla manutenzione delle strade, di non rammodernare le centrali elettriche,
di svendere (privatizzare) le sue attività economiche più eccellenti, di fare profitto da servizi pubblici essenziali prima gratuiti, di tagliare sulla sanità, sulle pensioni, sullo stato sociale, sulla istruzione che prepara lavoratori qualificati, eccetera eccetera: distruggendo le basi che rendono possibile la crescita economica a quello Stato. Lo sapete, perché è la situazione che avete sotto gli occhi.
Nella zona euro, il Creditore (che chiamiamo Germania, per semplificare) ha imposto a tutti i suoi debitori il Patto di Stabilità: i debitori, coi loro governanti, hanno accettato. Accettato cosa? Di stringere la cinghia, fare austerità, ridurre il loro indebitamento e restituirlo a tappe forzate al Creditore, in modo da continuare a pagare gli interessi al suddetto Creditore. Il punto è che questo è fisicamente impossibile. Il Patto di Stabilità infatti blocca la crescita. E senza crescita, chi paga gli interessi? I debitori ci riescono ancor meno di prima. E non c’è da stupirsi. Sotto la camicia di forza detta Patto di Stabilità, bisogna che una nazione abbia una crescita superiore al tasso d’interesse medio del debito che emette. Se non ce l’ha, il suo deficit annuale aumenta invece di diminuire sotto il prescritto 3%.
La Germania vuole due cose contraddittorie. Come tutti i creditori nella fase finale, del ciclo creditorio. È un caso di «botte piena e moglie ubriaca» o di una frase che ci dicevano da piccoli le nonne «hai più ingordi gli occhi che la bocca»: stai mangiando la torta e stai concupendo anche la merendina del compagno. Il Creditore collettivo si oppone a soluzioni che consentano al debitore di respirare, crescere, pagare gli interessi. Vuole che i suoi interessi gli siano pagati in moneta forte, non svalutata. Dopo aver scaricato sui debitori il rischio che s’è assunto investendo male, pretende di comandare in casa dei debitori, spia i soldi che può ancora avere da parte o usare in funzioni sociali – perché sono soldi sottratti agli interessi che lui pretende. Gli controlla anche il cibo: «Vivi al disopra dei tuoi mezzi! Fai come me, che sono così austero!».
Se lo si lascia fare, il Creditore arriva ad inventare (per l’ennesima volta nella storia) la schiavitù per debiti. Il debitore deve diventare suo schiavo e lavorare per lui, e ciò «per legge» — le leggi che il Creditore stesso fa varare dai suo maggiordomi politici. Sicché il debitore non può opporsi, non ha difesa. Jorion dice: «Un sistema dove si pagano interessi, per continuare a marciare, deve fare bancarotta ad intervalli regolari. Se non si rimettono i contatori a zero, cosa avviene? Che si reinventa la schiavitù per debiti».
Sia detto per inciso: a Roma, già nel 336 a. C., la Lex Poetelia Papiria rendeva nulli i contratti con cui il debitore si offriva «volontariamente» schiavo al creditore come garanzia del prestito ricevuto. Per questo: o fallimenti generalizzati di tanto in tanto, o schiavitù per debiti. Non c’è alternativa. Ovvio che noi preferiamo la prima, che si chiama anche Giubileo. È una cosa ce fa bene anche al Creditore, perché altrimenti rischia di perdere tutto, ed in gran parte è già stato pagato molte volte il suo investimento, a forza di interessi composti. Ma lui non ne vuole sapere.
Ed ecco lo scandalo Juncker...
Avrete letto o sentito dell’improvvisa scoperta che il Lussemburgo è un paradiso fiscale nel cuore della UE. E che 340 multinazionali, oltre 340 società, tra cui Pepsi, Procter & Gamble, JP Morgan, AIG e Deutsche Bank, avrebbero usufruito – tra il 2002 e il 2010 – di accordi fiscali di favore stretti in gran segreto con lo staterello dell’UE. Questi accordi sono stati stretti segretamente da Jean Claude Juncker: che del Lussemburgo è stato Ministro delle finanze e poi Primo Ministro praticamente per una vita, dal 1989 al 2013. Poi la Merkel lo ha fortemente voluto alla Presidenza della Commissione UE, arrivando per questo allo scontro fisico con David Cameron, ossia Londra, fino ad umiliare il premier britannico, che si è trovato senza alleati nella sua battaglia. Juncker, divenuto arrogante presidente UE, ha voluto stranvincere e togliersi i sassolini: contro Renzi, e contro Cameron. «Io non ho problemi con David Cameron, è lui che ha
problemi con altri Primi Ministri».
Jean Claude Juncker
Messo dal Creditore a moralizzare, ora si scopre che il moralizzatore è immorale. Come giustamente fa notare Rebuffo, è un «legittimo e ben concertato piano per rovesciare gli attuali equilibri di potere in Europa». E punta il dito sul fatto che lo scheletro nell’armadio di Juncker è stato scoperto e divulgato da un «Consorzio internazionale di Giornalisti Investigativi», un organismo con sede negli Stati Uniti.
Che cos’è questo Consorzio? Sembra una filiazione del Center for Public integrity, una creatura – udite udite – di George Soros, e piena di nomi J. – Soros spende 48 milioni di dollari per finanziare i giornalisti «onesti»...
«Non mi venite a raccontare che improvvisamente un fantastico gruppo di giornalisti sussidiati, si mette a fare il proprio dovere e scopre l’acqua calda». Già. Secondo Rebuffo, Juncker è già morto, ed è cominciata la «primavera d’Europa», sul modello delle «primavera arabe» spontaneamente organizzate (da Washington).
Non sarei così ottimista, il vecchio marpione europeista è sopravvissuto ad una serie di scandali e rivelazioni compromettenti che sarebbe troppo lungo anche solo elencare. È un animale politico, una vecchia volpe. Tuttavia, vediamo. La cosa somiglia un po’ troppo alla disavventura sessuale di Strauss-Kahn che gli è costata la poltrona del Fondo Monetario, dove non piaceva agli americani. Può anche essere l’inizio di una Mani Pulite europoide, come quella organizzata dall’FBI e dai magistrati di riferimento che Washington ha sempre avuto fra noi (5).
Una cosa pare certa: l’attacco è al cuore della Merkel, della Germania. Sempre secondo Rebuffo, il fatto è che gli USA vogliono distruggere l’euro, moneta troppo forte che minaccerebbe il dollaro come valuta di riserva. Io non ci credo, ma fosse vero, dovremmo ancora una volta la nostra liberazione agli americani.
La Germania paga tutti i suoi errori di fare il Creditore invece del Leader. Fra cui il fatto che noi, i debitori, non piangeremo una lacrima sulla «sua» Europa.
Note:
1) Si arriva a questo paradosso: se tutti i debitori pagassero i debiti e chiudessero le loro esposizioni restituendo il capitale, tutto il denaro sparirebbe.
2) Ho sentito alla radio un industriale, Preatoni, che propone l’uscita dell’Italia dall’euro. Il giornalista, spaventato, gli diceva: ma si rende conto? Quando avevamo la lira, avevamo un’inflazione al 17%... Preatoni, tranquillo: «È morto nessuno, che lei ricordi?». Invece con l’euro (e la deflazione che ci impone il creditore) gli imprenditori si suicidano, la gente muore davvero in Grecia.
3) Ne ho parlato nel mio saggio: Maurizio Blondet, «Schiavi delle banche», EFFEDIEFFE edizioni, capitolo «Il segreto del capitale».
4) Nino Galloni, «Chi ha tradito l’economia italiana?», Editori Riuniti, pagina 86.
5) Per esempio, quei magistrati tutti d’un pezzo che nel 1979 incriminarono il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, e il vicedirettore Mario Sarcinelli, sbattendo quest’ultimo in galera preventiva. I due magistrati si chiamavano Antonio Alibrandi e Luciano Infelisi. Inutile dire che i due accusati furono addirittura prosciolti in istruttoria, essendo l’accusa totalmente infondata: ma nel 1981, quando ormai il destino di Bankitalia era segnato, e si andava al «divorzio» fra Stato e banca centrale voluto da Andreatta (perché i mercati volevano interessi alti, e partecipare al debito pubblico italiota che gli faceva tanto gola). Questa era la vera causa delle incriminazioni, Baffi e Sarcinelli non erano convinti che fosse meglio. E per esperienza sapevano che era utile mantenere la sovranità monetaria: «Il 20 gennaio 1976 Baffi decise la chiusura del mercato ufficiale dei cambi per tutelare la lira dalle manovre speculative seguite alle dimissioni del quarto governo Moro intervenute pochi giorni prima. In quella circostanza, il ministro del Tesoro dell'epoca Emilio Colombo prese apertamente le distanze dalla Banca d'Italia in una lettera aperta sul quotidiano La Repubblica» (Wikipedia). Emilio Colombo è il finocchio cocainomane che è stato elevato a Senatore a vita. Sembra che tutti i traditori dell’Italia , invece che finire fucilati alla schiena, debbano diventare senatori a vita, come minimo… molti, presidenti della Repubblica. In ogni caso, Venerati Maestri come Andreatta che non è diventato né presidente né senatore a vita perché colto da fatale coccolone.
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