John Perkins spiega l'usurocrazia internazionale

John Perkins: Il sicario e la Grecia

Lunedì 06 Ottobre 2014 21:12
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mauro poggi

Il sicario e la Grecia

Intervista a John Perkins

the-corporation-dvd-labelPerkins  è autore del libro biografico “Confessioni di un sicario dell’economia”, dove racconta la sua decennale esperienza al soldo di multinazionali e governi occidentali come procacciatore di indebitamento e asservimento dei  paesi in via di sviluppo. 
Il giornalista greco Michael Nevradakis lo ha intervistato su Dialogos Radio. L’intervista è disponibile in podcast qui, e trascritta su TruthOut.
A mio parere una buona parte della sua analisi è condivisibile, e in ogni caso la sua testimonianza fotografa uno dei più gravi aspetti del clima culturale che caratterizza il nostro tempo: il prevalere degli interessi delle multinazionali sopra qualunque altra considerazione di benessere delle collettività, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli.
È pur vero che la prevaricazione dei potentati economici è una costante della storia moderna, ma oggi il fenomeno della globalizzazione ha conferito alle grandi corporazioni un potere decisivo, che sovrasta e condiziona qualunque altra struttura – quella politica in primo luogo; e mai come oggi questo potere appare inattaccabile e il processo del suo consolidamento irreversibile.
In questo senso, l‘accordo di libero scambio transatlantico TTIP, portato avanti senza alcun serio dibattito e zelantemente ignorato dai media, va visto come un ulteriore e forse decisivo passo verso la definitiva consacrazione del loro potere come nuovo sistema di governo globale.
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John Perkins non è nuovo alle confessioni. Il suo conosciuto libro “Confessioni di un sicario dell’economia” [Edito in italia da BEAT, 2012] ha rivelato come organizzazioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, con il pretesto di salvare paesi in difficoltà economica, gettano l’esca  della crescita mirabolante, delle avveniristiche infrastrutture e della prosperità, inducendo i governi a indebitarsi enormemente per poi ritrovarsi schiacciati dal peso di un debito insostenibile.
A questo punto entrano in gioco “i sicari dell’economia”: gente ordinaria con un’ordinaria formazione professionale, che si recano in quei paesi per imporre le rigide politiche di austerità prescritte dal FMI o dalla Banca Mondiale come “soluzione” alle avverse condizioni economiche che stanno sperimentando. Uomini come Perkins sono formati per spremere fino all’ultima goccia di ricchezza e risorse da queste economie.
In questa intervista, trasmessa da Dialogos Radio, Perkins spiega come la Grecia e l’Eurozona sono diventate le nuove vittime di questi individui.

Michel Nevradakis: Nel tuo libro tu scrivi di essere stato per molti anni un cosiddetto “sicario dell’economia”. Chi sono questi uomini e cosa fanno?
John Perkins: Essenzialmente, il mio lavoro consisteva nell’identificare i paesi che avessero risorse appetibili per le nostre multinazionali. Poteva trattarsi di qualunque cosa: petrolio, mercati, trasporti. Ci sono talmente tante cose… Una volta identificati i paesi, organizzavamo enormi prestiti, ma il denaro non arrivava direttamente ai paesi: andava invece alle nostre multinazionali per realizzare progetti infrastrutturali, tipo centrali o autostrade, di cui beneficiavano i pochi facoltosi e le nostre multinazionali, ma non la maggioranza della popolazione, che non aveva i mezzi per usufruirne. Alla fine restava un debito enorme , più o meno com’è successo in Grecia. Un debito fenomenale.
Una volta che questi paesi erano legati al debito, noi normalmente tornavamo come FMI – nel caso della Grecia odierna come “Troika” – e imponevamo tremende misure di restrizione: aumento delle tasse, tagli alle spese, privatizzazioni delle imprese pubbliche come le centrali, la distribuzione dell’acqua, i trasporti. In pratica diventavano nostri schiavi: del FMI o, nel vostro caso, dell’Unione Europea.
Nella sostanza, organizzazioni come il FMI, la Banca Mondiale o l’Unione Europea sono strumenti in mano alle grandi multinazionali. E’ ciò che io chiamo “corporatocrazia“.

MN: Prima di esaminare lo specifico caso greco, dicci qualcosa di più su come questi sicari e queste organizzazioni come il FMI operano. Hai parlato del modo come lavorano per indurre quei paesi al massiccio indebitamento, come il denaro in realtà entri ed esca subito. Hai anche spiegato nel tuo libro delle  previsioni economiche eccessivamente ottimistiche spacciate ai politici, che in realtà non hanno alcun fondamento.
JP: Esatto. Dimostravamo che se gli investimenti venivano fatti in cose come le reti elettriche l’economia sarebbe cresciuta a un tasso fenomenale. Il fatto è che quando investi nelle grandi infrastrutture, la crescita economica si vede, tuttavia si riflette solo in una aumento della ricchezza per i ricchi, e non riguarda la maggior parte delle persone, come stiamo vedendo negli USA oggi.
Per esempio, la crescita economica può incrementare il PIL, ma allo stesso tempo indicatori come la disoccupazione o i pignoramenti immobiliari  possono crescere o restare tal quali. I numeri tendono a riflettere solo la ricchezza in sé, dal momento che hanno un’incidenza enorme sull’economia – dal punto di vista statistico.  Noi li convinciamo che se investono in queste infrastrutture la loro economia crescerà perfino più velocemente di quanto possano immaginare, e questo solo per giustificare questi prestiti debilitanti e orrendi.

MN: C’è un filo comune che lega i paesi presi di mira? Le risorse, l’importanza strategica… ?
JP: Tutto questo. Le risorse possono avere forme differenti: materie prime come minerali o petrolio, posizione strategica, grandi mercati di sbocco o basso costo del lavoro. Paesi differenti hanno differenti requisiti. Credo che quanto stiamo vedendo oggi in Europa non è diverso, e questo include la Grecia.

MN: Cosa succede una volta che questi paesi sono indebitati? I sicari, le organizzazioni internazionali, i potentati economici: come si presentano a questi paesi indebitati pesantemente per pretendere la loro “libbra di carne” [Cfr Shakspeare, "Il mercante di Venezia" Ndt].
JP: Fanno pressioni affinché adottino politiche di privatizzazione che porteranno alla vendita in favore delle grandi multinazionali  di tutte le aziende di servizi pubblci: acqua, sistemi fognari, scuole, trasporti, perfino prigioni. Oppure permettano l’istallazione di basi militari sul loro suolo.  Possono essere indotti a molte cose, ma di base questi paesi diventano schiavi della corporatocrazia. Bisogna tener presente che oggi sottostiamo a un Impero globale, e non si tratta dell’impero americano. Non è un impero nazionale. E’ un impero di multinazionali, e le grandi multinazionali dettano legge. Controllano la politiche degli Stati Uniti, e fino a un certo punto controllano una buona parte delle politiche di paesi come la Cina.

MN: Tornando al caso della Grecia, tu hai espresso l’opinione che quel paese è vittima di killers economici e delle organizzazioni internazionali… Qual è stata la tua reazione quando hai letto per la prima volta della crisi greca e delle misure che venivano “raccomandate”?
JP: Ho seguito la Grecia per molto tempo. Sono stato invitato alla TV greca. Un compagnia cinematografica greca girò un documentario intitolato “Apologia di un sicario dell’economia”. Sono stato anche molto tempo in Islanda e in Irlanda.  Ero stato invitato in Islanda per incoraggiare la gente di laggiù a votare contro il rimborso dei loro debiti. Effettivamente votarono contro, e il risultato è che paragonata al resto d’Europa l’Islanda ha una situazione economica più favorevole. In Irlanda ho cercato di ottenere lo stesso risultato, ma il popolo irlandese votò apparentemente per il rimborso, anche se ci sono state diverse segnalazioni di brogli.
Nel caso della Grecia, la mia reazione è stata: “La stanno attaccando”. Non ci sono discussioni su questo: certo, la Grecia ha commesso degli errori, i suoi leader hanno commesso errori, ma il suo popolo no. Ora alla gente viene imposto di pagare per errori commessi dai loro leader politici, spesso in combutta con le grandi banche. C’è chi ha ricavato enormi benefici da questi “errori”, e ora è la gente comune che viene chiamata a pagarne il conto. Tutto ciò, in coerenza con quanto accade nel resto del mondo: lo abbiamo visto in America Latina, in Asia e ovunque.

MN: Questo ci porta direttamente alla successiva domanda: Dal mio punto di vista, almeno in Grecia, la crisi è stata accompagnata da un aumento dell’auto-biasimo e dell’auto-denigrazione; vi è un sentimento diffuso fra la gente per cui il fallimento della Grecia è il loro fallimento… Non si protesta nemmeno quasi più, e naturalmente c’è un’enorme fuga di cervelli – un sacco di gente sta abbandonando il paese. Ti risulta che questa situazione è analoga a quella di altri paesi dove hai avuto esperienze personali?
JPCerto. Fa parte del gioco: convincere la gente che sono in errore, che sono inferiori. La corporatocrazia è incredibilmente abile in questo. Ai tempi della guerra in Vietnam, si trattava di convincere che i nord-vietnamiti erano il male; oggi lo sono i musulmani. E’ la politica del “Noi contro di loro”: noi siamo i buoni, noi siamo nel giusto. Qualunque cosa noi facciamo è quella giusta. Voi sbagliate.
Nel caso greco, tutto era era finalizzato a convincere il popolo: “sei pigro; noi fai la cosa giusta; non segui le giuste politiche” quando in realtà una grossa parte del biasimo dovrebbe ricadere sulla comunità finanziaria internazionale che aveva incoraggiato la Grecia a seguire quella strada.
Vorrei aggiungere che qualcosa di simile sta succedendo negli stati Uniti, dove la gente è stata convinta di essere stupida perché le loro case sono state pignorate per aver comprato al di sopra delle loro possibilità. La realtà è che le banche han suggerito loro di comportarsi così, e ovunque ci si è fidati dei banchieri. Negli Stati Uniti non avremmo mai creduto che una banca potesse indurre le persone a comperare case da 500 mila dollari pur sapendo che potevano permettersene solo da 300 mila. “Preparati, in pochi anni quella casa varrà un milione di dollari! Farai un sacco di soldi…”. Nella realtà il valore delle banche è sceso, il mercato è crollato; le banche hanno pignorato le case, le hanno impachettate e vendute di nuovo.  Oltre al danno, la beffa: alla gente venne detto ” Sei uno stupido, sei troppo avido. Perché hai comperato una casa così costosa?”, quando in realtà erano stati proprio loro, i banchieri, a consigliarlo: e noi siamo cresciuti nella convinzione che possiamo confidare nelle nostre banche.
Qualcosa del genere, su larga scala, è accaduto ovunque nel mondo.

MN: In Grecia i maggiori partiti tradizionali sono, naturalmente, in favore della rigida austerità che è stata imposta, ma abbiamo visto che anche i maggiori imprenditori e i media la sostengono. Questo ti stupisce?
JP: No, assolutamente, e tuttavia è ridicolo perché l’austerità non funziona. Lo abbiamo potuto constatare infinite volte, e forse la prova più evidente è quella opposta: negli USA, durante la Grande Depressione, il presidente Roosevelt intraprese una serie di politiche per riportare la gente al lavoro e iniettare liquidità nell’economia. E’ questo che funziona. Sappiamo che in queste situazioni l’austerità non funziona.
Abbiamo anche capito che negli Stati Uniti, per esempio, il potere d’acquisto della classe media negli ultimi quarant’anni è declinato, mentre l’economia è cresciuta. In effetti, è quanto accaduto in tutto il mondo. La classe media ha avuto un declino globale. La grande industria deve riconoscere (non lo ha ancora fatto, ma sarà obbligata) che questo, sul lungo termine, non è interesse di nessuno: è la classe media a fare il mercato. E se la classe media continua a declinare, in Grecia o negli USA o globalmente, alla fine sarà l’industria a soffrirne. Non ci saranno più consumatori. Henry Ford una volta ha detto: “Voglio pagare i miei dipendenti abbastanza perché possano comprare le mie automobili”. Questa è una politica saggia. L’austerità va nella direzione opposta e questo è una sciocchezza.

MN: Nel tuo libro, scritto nel 2004, avevi espresso la speranza che l’euro potesse servire da contrappeso all’egemonia globale del dollaro. Avresti immaginato che avremmo visto nell’Unione Europea ciò a cui stiamo assistendo oggi, con l’austerità che sta colpendo non solo la Grecia ma anche Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia oltre a diverse altre nazioni?
JP: Quello che non sospettavo è la determinazione con cui la corporatocrazia NON vuole un Europa unita. Dobbiamo capirlo: possono essere abbastanza soddisfatti dell’euro, perché con una moneta unica hanno la garanzia di mercati aperti; ma non vogliono la standardizzazione di leggi e regolamenti. Guardiamo in faccia la realtà: le grandi multinazionali, la corporatocrazia, traggono vantaggio dal fatto che certi paesi in Europa hanno una sistema di tassazione più indulgente, altri più indulgenti leggi ambientali o sociali, perché in questo modo possono contrapporre di volta in volta un paese all’altro.
Come sarebbe per le grandi multinazionali se non avessero i loro paradisi fiscali in paesi come Malta o altrove? Credo che dobbiamo riconoscere che se per quanto riguarda l’introduzione dell’euro hanno visto positivamente l’Unione europea, la ventilata successiva unione politica non ha trovato lo stesso gradimento per via della standardizzazione dei regolamenti che questa avrebbe implicato. Le multinazionali questo non lo vogliono, per cui in un certo modo ciò che sta accadendo oggi deriva dal fatto che la corporatocrazia è contraria a un’unione politica, almeno non oltre un certo livello.

MN: Nel tuo libri citi l’esempio dell’Ecuador e altri paesi, che dopo il collasso del prezzo del petrolio a fine anni ’80 si sono ritrovati con un enorme debito che li ha costretti a massicce misure di austerità. Sembra abbastanza simile a quanto sta succedendo in Grecia. Come si possono opporre i popoli che si venissero a trovare in analoghe situazioni?
JP: In Ecuador è stato eletto un notevole presidente, Rafael Correa, che ha conseguito una laurea in economia negli USA. Correa capisce il sistema e ha capito che l’Ecuador ha contratto debiti quando io ero un sicario e il suo paese era diretto da un giunta militare controllata dalla CIA.  La giunta assunse quell’enorme debito e l’Ecuador ne fu schiacciato. Ma il popolo non era d’accordo. Quando Rafael Correa è stato democraticamente eletto ha dichiarato immediatamente: “Non pagheremo questo debito; il popolo non se ne farà carico; forse il FMI o la giunta (che ovviamente nel frattempo era fuggita altrove)  dovrebbero pagarlo; forse John Perkins e altri sicari dovrebbero pagarlo. Ma il popolo non lo pagherà”.
Da allora ha rinegoziato e abbassato il debito, dicendo “Potremmo essere disposti a pagarne una parte” [quella "non odiosa" Ndt]. Si è trattato di una mossa intelligente, che ricalca quanto fatto con successo in altre occasioni da paesi come Argentina e Brasile, e più recentemente dall’Islanda.
Devo dire che da allora Correa ha avuto alcune battute d’arresto. . . Lui, come tanti presidenti, deve essere consapevole che se ti opponi troppo al sistema, se i sicari dell’economia non sono contenti, se non ottengono ciò che vogliono, allora arrivano gli sciacalli che ti possono assassinare o rovesciare con un colpo di stato. C’è già stato un tentativo di golpe contro di lui.E non troppo lontano da lui, in Honduras, dove un altro presidente si era opposto, il golpe è riuscito.
Dobbiamo capire che i presidenti sono in una posizione molto vulnerabile, e alla fine siamo noi come popolo che dobbiamo reagire, perché i leader possono arrivare solo fino a un certo punto. Non c’è più bisogno di una pallottola per distruggere un leader. Uno scandalo, di sesso o di droga – può bastare. L’abbiamo visto succedere a Bill Clinton, o a Dominique Strauss-Kahn del FMI. Lo abbiamo visto succedere un sacco di volte. I leader sono consapevoli di trovarsi in una posizione molto vulnerabile; se si oppongono troppo al sistema sono destinati a essere spazzati via, in un modo o nell’altro. Ne sono consapevoli, e la difesa dei diritti alla fine spetta al popolo.

MN: Hai fatto riferimento al recente esempio dell’Islanda… A parte il referendum, quali altre misure ha adottato il paese per uscire dalla spirale dell’austerità, tornare a crescere e avere migliori prospettive?
JP: Hanno investito denaro in programmi di stimolo all’occupazione. Hanno anche mandato sotto precesso alcuni dei banchieri che avevano causato il problema, una misura che per la popolazione ha avuto anche un considerevole impatto sul morale. L’Islanda ha lanciato un programma che dice: “No, noi non affonderemo nell’austerità; noi non pagheremo quei prestiti; utilizzeremo quei soldi per stimolare l’occupazione”. Alla fine è questo che fa crescere l’economia: il lavoro. Se il tasso di disoccupazione è estremamente alto, come in Grecia oggi, un paese avrà sempre problemi. Dobbiamo abbattere la disoccupazione, dobbiamo assumere gente. Per la gente è fondamentale  tornare a lavorare. Il tasso del 28% è impressionante: il reddito disponibile è crollato del 40%, ma continuerà a cadere se una disoccupazione del genere persiste. Un’economia deve sostenere l’occupazione e ripristinare i livelli di reddito, in modo che la popolazione possa tornare a investire nel proprio paese in termini di merci e servizi consumati.

MN: In chiusura, quale messaggio vorresti dare al popolo greco, dal momento che continuano a subire i drammatici risultati delle politiche di austerità implementate negli anni scorsi?
JP: Vorrei riferirmi alla vostra storia. Voi siete un popolo orgoglioso, un paese forte, un paese di guerrieri. La mitologia del guerriero è nata in un certo modo Grecia, e così la democrazia! Dovreste essere consapevoli che è il mercato, oggi,  la democrazia; e il vostro voto dipende da come spendete i vostri soldi. La più parte delle democrazie sono corrotte, inclusa quella degli Stati Uniti. La Democrazia non funziona veramente su base governativa, perché sono le multinazionali ad averne le redini. Funziona su base di mercato. Vorrei incoraggiare il popolo greco ad alzarsi: non pagate quei debiti. Fate i vostri referendum, rifiutatevi di pagare; scendete in strada e scioperate. Non accettate le critiche che vi addossano la colpa, la vergogna, o continuerete a sopportare austerità, austerità, austerità. L’austerità funziona per le persone ricche, non per la gente media o la classe media. 
Dovete ricostruire la classe media; restituire il lavoro; restituire il reddito disponibile al cittadino medio. Lottate per questo, fate che succeda, lottate per i vostri diritti: rispettate la vostra storia di guerrieri e leader della democrazia, e fatelo vedere al mondo.

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